Samhain – La soglia tra i mondi
Antiche radici e riti di rinascita
di Marzia
Quando la luce declina e la terra tace, giunge Samhain, il tempo sospeso.
Nelle antiche terre celtiche,
segnava la fine dell’estate e l’inizio dell’inverno, il momento in cui il velo tra i mondi si assottiglia e i
vivi possono udire il respiro degli antenati. È la notte della soglia, del silenzio e della trasformazione.
Nei testi irlandesi medievali — Tochmarc Emire, Acallam na Senórach, Cath Maige Tuired — Samhain
appare come tempo sacro e di raduno. Nel Tochmarc Emire si legge:
“Trí hóenócht do Samain, no·bít fir Érenn oc óenach Temrach.”
(Per tre notti di Samhain, gli uomini d’Irlanda si radunavano a Tara.)
Tara, centro simbolico del potere regale, era illuminata da fuochi che segnavano la chiusura del ciclo
agricolo e l’inizio della metà oscura dell’anno. Il fuoco, allora come ora, rappresentava la purificazione
e il rinnovamento.
I falò — bone-fires, letteralmente “fuochi d’ossa” — bruciavano per proteggere e benedire la
comunità. Da quelle fiamme sacre le famiglie riaccendevano i propri focolari domestici, come a riportare acasa la luce del mondo.
“Fuoco che arde nel cerchio del tempo, rinnova la mia casa, rinnova il mio cuore.”
Il calendario di Coligny, ritrovato in Gallia, ricorda Samonios come mese di transizione: segno che, in
tutto il mondo celtico, il ciclo della natura era scandito da questa soglia luminosa e oscura.
Samhain è la notte in cui i mondi si toccano. Le leggende narrano che le porte dei sídhe — le colline degli
spiriti — si aprono, e gli antenati camminano accanto ai vivi. Nell’Acallam na Senórach si dice che “le
voci dei tumuli parlavano nella notte di Samhain”.
In loro onore si lasciavano offerte di cibo e bevande, si accendevano luci per guidarli. Oggi, molti
rinnovano quel gesto antico: una candela sul davanzale, un posto vuoto a tavola, un nome pronunciato piano. Sono atti semplici, ma profondi: riti di memoria e continuità.
Nelle celebrazioni moderne, Samhain è spesso aperto con un cerchio sacro. Si accendono quattro luci, una
per ogni direzione:
“A Nord, la Terra che dorme.
A Est, l’Aria che ricorda.
A Sud, il Fuoco che rinnova.
A Ovest, l’Acqua che separa i mondi.”
Sul piccolo altare si pongono mele, pane, vino, foglie autunnali, fotografie degli antenati. Si medita su ciò
che deve essere lasciato andare — emozioni, paure, legami ormai spenti — e si affida tutto al fuoco. Le ceneri, disperse al vento, diventano promessa di rinascita.
Gli antichi testi narrano che a Samhain “tutte le profezie sono chiare”. È il tempo in cui il dio Lug e la dea Morrígan si incontrano per rinnovare la vita della terra. Così, la notte diventa specchio: si leggono sogni, si osservano fiamme e acque, si ascolta il silenzio. Chi segue oggi la via celtica consulta rune, tarocchi o semplicemente il proprio cuore.
“Is é Samain tráth tús na bliana,
mar a bhfaigheann bás an seansaol,
agus éiríonn an saol nua.”
(Samhain è il tempo in cui l’anno muore, e nasce il nuovo mondo.)
Ogni lume acceso è un ponte. Ogni respiro nella notte è un’offerta. Samhain insegna che nulla muore davvero: ogni fine è seme, ogni oscurità custodisce la luce. Nel buio più profondo, la terra sogna la primavera.
Accendere un lume in quella notte non è imitare il passato: è continuare la fiamma che da secoli illumina il cammino dei vivi e dei defunti. Samhain è il respiro della Terra che muore e rinasce. E chi ascolta, in silenzio, può ancora sentirlo.
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